Domanda:
Sintesi del racconto " Sul ghiaccio " di Hermann Hesse?
anonymous
2009-03-02 00:32:09 UTC
il piu bel riassunto 10 punti assicurati!!!!!! e 5 stelline
Tre risposte:
cassie
2009-03-02 01:50:50 UTC
due domande per una solo risposta che puoi fare nelle prossime 12 ore prima di domani? ciao bello!



morg.
whatsername
2009-03-02 21:29:29 UTC
Fu un inverno lungo e rigido, e il nostro bel fiume della Foresta Nera rimase coperto dal ghiaccio per molte settimane. Non posso dimenticare la strana sensazione, il brivido estatico con cui misi piede sul fiume nella prima mattinata di gelo, perche' era profondo e il ghiaccio era così limpido che potevo vedere sotto di me, come attraverso una sottile lastra di vetro, l’acqua verde, il fondo sabbioso cosparso di pietre, le piante acquatiche fantasticamente intrecciate e di tanto in tanto il dorso scuro di un pesce.

Passavo delle mezze giornate a correre sul ghiaccio coi miei compagni, le guance ardenti e le mani livide, il cuore energicamente dilatato dal moto intenso e ritmico del pattinaggio, colmo della meravigliosa, spensierata capacita' di godimento che e' propria dell’adolescenza. Facevamo gare di velocita', di salto in lungo, di salto in alto, giocavamo ad acchiapparci, e quelli di noi che portavano ancora i vecchi pattini d’osso legati con lo spago agli stivali non erano i corridori piu' scadenti. Uno pero', il figlio di un industriale, possedeva un paio di “Halifax”, che erano fissati senza corda ne' cinghia e si potevano mettere e togliere in due minuti. In seguito la voce Halifax fece parte per anni della mia lista di desideri natalizi, ma senza successo; e quando, dodici anni dopo, volli finalmente comprarmi dei pattini davvero buoni e di pregio e nel negozio chiesi degli Halifax, con grande dolore vidi morire un ideale e un pezzo di fede infantile, perche' il commesso mi assicuro' sorridendo che l’Halifax era un sistema antiquato e da un bel pezzo aveva perduto il primo posto. A me piaceva pattinare da solo, spesso fino al calar della notte. Filavo a tutta velocita', imparavo a fermarmi o a svoltare in piena corsa in qualsiasi punto, descrivevo dei begli archi bilanciandomi col godimento di un aviatore. Molti dei miei compagni usavano le ore di pattinaggio per star dietro alle ragazze e far loro la corte. Per me le ragazze non esistevano. Mentre gli altri facevano loro da cavalieri, ronzavano loro intorno, bramosi e timidi e le conducevano in coppia con audace disinvoltura, io mi godevo da solo il libero piacere dello scivolamento. Per i “conduttori di signorine” non avevo che compassione o scherno. Dalle confessioni di certi amici credevo infatti di sapere che i loro piaceri galanti erano quantomeno problematici.

Senonche', verso la fine dell’inverno, un giorno mi venne all’orecchio una grande novita' corsa per tutta la scuola: il “bifolco del nord” aveva ripetutamente baciato la Emma Meier mentre si toglievano i pattini. La notizia mi fece improvvisamente salire il sangue alla testa. Baciata! Ecco una cosa ben diversa dalle insulse conversazioni e dalle impacciate strette di mano che venivano altrimenti celebrate quali estasi supreme del “condurre le signorine”. Baciata! Ecco una parola del mondo estraneo, sigillato, timidamente presagito, una parola che aveva il delizioso profumo dei frutti proibiti, qualcosa di misterioso, di poetico, d’indicibile, e apparteneva a quel territorio oscuro e dolce, pauroso e seducente che tutti noi, pur evitando di parlarne, conoscevamo per intuizione, e che ci era parzialmente svelato dalle leggendarie avventure amorose di qualche dongiovanni espulso dalla scuola. Il “bifolco del nord” era uno scolaro quattordicenne di Amburgo, chissa' come capitato tra noi, per il quale avevo grande rispetto: la sua fama, che fioriva lontano dalla scuola, spesso mi toglieva il sonno. Ed Emma Meier era incontestabilmente la scolara piu' carina di Gerbersau, bionda, agile, fiera e della mia stessa eta'.

Da quel giorno progetti e ansie si agitarono nella mia mente. Il desiderio di baciare una ragazza superava infatti ogni mio precedente ideale, sia come fatto in se', sia perche' era senza dubbio vietato e punito dalle leggi scolastiche. Rapidamente compresi che l’unica buona occasione era il solenne servizio d’amore sulla pista da pattinaggio.

Per prima cosa, dunque, cercai per quanto potevo di rendere piu' presentabile il mio aspetto. Dedicai tempo e cure alla pettinatura, sorvegliai puntigliosamente la pulizia dei miei abiti, abbassai graziosamente sulla fronte il berretto di pelliccia e con molte preghiere ottenni da mia sorella un foulard di seta rosa. Nello stesso tempo cominciai a salutare cortesemente, quando mi trovavo sul ghiaccio, le ragazze eventualmente idonee e credetti di vedere che questo insolito omaggio veniva accolto con stupore ma non senza compiacimento.

Molto più difficile mi riusci' il primo approccio, perche' in vita mia non avevo mai “invitato” una ragazza. Cercai di osservare il comportamento dei miei amici durante questa seria cerimonia. Alcuni facevano solo un inchino e tendevano la mano, altri balbettavano qualcosa di incomprensibile, ma i piu' si servivano dell’elegante frase: “posso avere l’onore?”. Questa formula mi impressiono' e mi allenai a pronunciarla a casa, nella mia stanza, inchinandomi davanti alla stufa e recitando le solenni parol
anonymous
2009-03-04 06:32:15 UTC
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