puffysweetangel
2008-05-25 12:10:21 UTC
L’atmosfera ovattata che si poteva percepire aleggiava nell’aria immota, donando alla selva una parvenza fantastica e illimitata, quasi non potesse esistere nulla al di fuori di essa, se non essa stessa moltiplicata all’infinito; pareva quasi che chi avesse voluto addentrarvisi per trovare i suoi confini e ciò che poteva esserci oltre avrebbe dovuto fare i conti con una realtà ben diversa da quella che aveva immaginato, e avrebbe potuto benissimo perdersi in essa, smarrire la via del ritorno e soccombere al silenzio delle foglie e all’omertà delle radici. Ma in essa avrebbe anche potuto trovare conforto ai suoi dolori e riparo dalle sue calamità, una via di ricongiunzione con sé stesso e un modo per riconquistare la pace interiore. La foresta non avrebbe criticato o giudicato, avrebbe soltanto ascoltato, curato ferite e saldato fratture, con la sua sola impalpabile, mistica essenza fatta di profondi silenzi e di un nulla che profumava di malva selvatica.
Maria camminava a occhi sgranati in essa, era stranamente scalza, i piedi aderivano alla terra come fossero radici di un albero sradicato che cercava disperatamente di inguainarle ancora nel suo dolce e caldo abbraccio primordiale. I suoi capelli si perdevano nell’aria, lucenti e impalpabili come le ali di una creatura del piccolo popolo, quasi volessero sciogliersi nella tenera consistenza della bruma evanescente per partecipare dell’essenza magica e senza tempo di quel luogo carico di fascino e interrogativi sospesi tra le fronde e i fitti cespugli.