Domanda:
Libri di narrativa, riassunto capitolo per capitolo di questi libri! Aiuto!
єℓιѕα
2008-08-05 05:30:06 UTC
La mia prof di italiano ci ha dato da leggere questi libri:

Primo Levi - Se questo è un uomo
Italo Calvino - Il barone rampante
Harper Lee - Il buio oltre la siepe
Mario Rigoni Stern - Stagioni

di ogni libro dobbiamo fare il riassunto capitolo per capitolo; li ho letti tutti, ho sottolineato le parti più importanti, ma mi trovo sempre davanti ad un lavoro molto lungo, e i frammenti di frasi che ho sottolineato nel complesso costituiscono un lavoro appena sufficiente, considerando che la mia prof pretende molto di più: considerazioni sui personaggi, sul narratore, sul modo di scrivere dell'autore.

Non esistono dei siti che ti forniscano magari dei riassunti capitolo per capitolo di questi libri, per avere almeno degli spunti? Non dico che li voglio ricopiare, ma solo prelevare qualche informazione importante!

Aiutatemi answerini! Vi rubo solo 10 minuti del vostro tempo prezioso! Io non sono riuscita a trovare niente online...

Tutto ciò che riuscite a trovare, per favore, me lo potete passare? Anche se non è proprio tutto. Grazie
Tre risposte:
2008-08-06 04:44:21 UTC
non so aiutarti mi spiace...

allora io ti consiglio:



nodo di sangue

resti mortali

il circo dei dannati

luna nera

polvere alla polvere

il ballo della morte

dono di cenere

blue moon

di laurell k hamilton

questi parlano di una cacciatrice di vampiri autorizzata, anita blake, risvegliante di zombie....davvero belli!!



poi ti consiglio: le pagine della nostra vita, le parole che non ti ho detto, i passi dell'amore, come un uragano, un cuore in silenzio, come la prima volta, ogni giorno della mia vita, ricordati di guardare la luna



di nicholas sparks....e sono stupendi...



i libri di michael connelly tipo "la città delle ossa", "il rargno", "il buio oltre la notte", "la ragazza di polvere"...



o quelli di kathy reichs, tipo "bones" oppure "skeleton"...



ti consiglio "angeli e demoni", il codice da vinci", "la verità del ghiaccio", "crypto" di dan brown...



o i libri di geronimo stilton..che io adoro..:)
Dema♥
2008-08-05 13:09:23 UTC
SE QST è UN UOMO:

Il libro narra le esperienze dell’autore nel periodo in cui fu deportato dai nazisti nella Seconda Guerra Mondiale nel lager di Buna-Monowitz nei pressi di Auschwitz. La vicenda inizia dall'arresto avvenuto la notte del 13 dicembre 1943 fino al momento della liberazione dal Lager la mattina del 27 gennaio del 1945. Le esperienze sono presentate dallo scrittore con il metodo dell’intreccio, perché la narrazione degli eventi è lineare ma spesso l’autore ci fornisce anticipazioni su ciò che accadrà (è già accaduto) al personaggio. L’autore utilizza quindi più modalità per raccontare la sua vicenda: quella del resoconto, in cui gli avvenimenti ci sono esposti nella loro successione cronologica; quella dell’accostamento dei fatti ad idee più generali sulla condizione umana e quella di impianto diaristica adottata nelle ultime pagine, che è più adatto a raccontare gli ultimi eventi. La testimonianza che Levi ci affida attraverso le pagine del suo libro non è altro che una lunga meditazione sull'opera di annientamento della personalità umana da parte dei nazisti, cosa che è il primo obiettivo dei campi di sterminio.

Dopo averci narrato come fu catturato dai fascisti e condotto nel campo di concentramento, e dopo averci descritto attraverso pagine altamente drammatiche come gli ebrei internati nel campo accolsero l'annuncio della deportazione Levi affronta la descrizione del viaggio che lo conduce dalla piccola stazione di Carpi, in Italia, ad Auschwitz nell'Alta Slesia. Giunti a destinazione, il meccanismo dell'annientamento si mise subito in moto: fu il primo episodio di una lunga serie di eventi analoghi il cui unico scopo fu di giungere, per gradi, alla totale eliminazione dei deportati. Coloro che furono in grado di essere utilizzati come mano d'opera furono condotti ai campi di lavoro; tutti gli altri, vecchi, inabili, bambini e tutti coloro che non erano adatti al lavoro manuale vennero portati nelle camere a gas. Coloro che si “salvarono” da questa prima eliminazione vennero spogliati (anche della dignità) e vennero rivestiti con casacche a righe e zoccoli, gli venne inoltre tatuato sul braccio sinistro un numero che da quel momento prese il posto del loro nome. Tutti gli internati furono trasferiti durante il giorno presso una fabbrica di gomma, dove svolsero un lavoro massacrante. I piú deboli presto furono stroncati dalla fatica, dalle privazioni, dalle malattie e dal freddo. All'interno del Lager governavano il privilegio, l'ingiustizia, il sopruso, l'abilità personale, l'astuzia; chi non aveva abilità da sfruttare non poteva sopravvivere a lungo. All'interno di questo quadro vengono descritte alcune figure umane, ferocemente o pietosamente tratteggiate dall'autore a seconda dei casi, che incarnano modelli umani veramente esistiti in tempo di guerra. Dopo non molto tempo Primo Levi venne assegnato al kommando chimico, che lo esonerava dalle fatiche massacranti sostenute fino a quel momento. Ma questo non gli impedì di passare mesi contrassegnati da patimenti nonché da un'altra " selezione " prima di entrare a far parte del laboratorio e poter cominciare a nutrire la speranza di superare un altro durissimo inverno. Nel frattempo hanno inizio i bombardamenti degli Alleati sull'Alta Slesia ed anche la fabbrica è colpita. Costretti a lavorare fra la polvere e le macerie, costantemente esposti ai pericoli delle incursioni aeree nonché fatti oggetto da parte dei loro oppressori e aguzzini di una raddoppiata ferocia a causa della tragedia che incombe sulla Germania, i deportati subirono tutto il peso di una situazione che diventava ogni giorno sempre piú insostenibile. L'autore in maniera del tutto inaspettata e quando ormai aveva rinunciato a sperare, fu destinato al laboratorio dove trascorse gli ultimi mesi di prigionia, in un ambiente riscaldato e a contatto con materiali e strumenti che gli ricordavano i suoi studi e la sua professione. In questo periodo avvenne la prima stesura di “Se questo è un uomo” e fu proprio nel raccoglimento consentitogli dal laboratorio che egli avvertì per la prima volta la necessità di sopravvivere per poter testimoniare, nonché la possibilità di dare un senso alle sofferenze patite ed una giustificazione alla propria esperienza rendendone partecipi gli altri attraverso un libro di memorie. Il fronte russo si stava avvicinando, i tedeschi erano ormai consapevoli della catastrofe imminente e si apprestarono a far evacuare i campi di sterminio e a distruggere gli impianti. Era il gennaio 1945. Questi ultimi drammatici avvenimenti ci sono narrati sotto forma di diario. L'autore, che nel frattempo era ricoverato nelle baracche adibite ad ospedale, assistette alla partenza dei suoi compagni. Morirono tutti durante un’interminabile marcia attraverso la Germania, mentre i malati, abbandonati a se stessi, rimasero nel Lager devastato, senza cure, né acqua, né cibo, ad una temperatura di venti gradi sotto zero, decimati dal tifo, dalla difterite, dalla dissenteria. Levi è tra i pochissimi che riuscì a sopravvivere e le pagine conclusive del libro ci danno la cronaca allucinante di quello che accadde in quei terribili dieci giorni e precisamente dal 19 gennaio al 27 gennaio del 1945. Quando all'alba del 27 gennaio arrivarono i russi, lo spettacolo che si offre ai loro occhi fu quello terrificante dei cadaveri che erano accumulati sulla neve e dei pochi superstiti che si aggiravano come spettri fra le rovine del campo.





IL BARONE RAMPANTE:

“Il barone rampante” narra le avventure del giovane Cosimo, figlio secondogenito del barone di Rondò, che, stufo di dover obbedire alle pretese dei genitori e di dover sopportare le cattiverie della sorella Battista, decide di fuggire dalla solita routine quotidiana per rifugiarsi sugli alberi. Come spiega il fratello Biagio, all’inizio si credeva che presto Cosimo si sarebbe stancato di questo genere di vita e sarebbe sceso, ma in realtà non fu così. Anzi, dopo aver trascorso un periodo di scoperta e di esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, affinando le tecniche di caccia e di sopravvivenza, il futuro baronetto diventa il protagonista di una serie di ardimentose imprese che vengono pazientemente raccolte dal fratello minore. Ad esempio, si racconta della sua strana amicizia con Viola D’Onda riva, la figlia dei suoi ricchissimi vicini di casa, attraverso la quale aveva potuto fare anche la conoscenza con la famosa banda dei ladri di frutta, composta da alcuni ragazzini che organizzavano scorribande per tutta la regione. All’epoca, Cosimo aveva appena dodici anni, ma quello che maturò per Viola fu un vero sentimento d’amore, che si spezzò per lui quando quest’ultima dovette trasferirsi da Ombrosa in un altro paese con la sua famiglia. Purtroppo, durante il trasloco accadde che uno dei cani della bambina, per la precisione un bassotto, fu dimenticato alla villa, e Cosimo approfittò dell’occasione per adottare il cucciolo e ribattezzarlo Ottimo Massimo. In questi tempi, la stima che la gente provava per questo nuovo eroe cresceva sempre di più, anche perché Cosimo cercava di rendersi utile ai contadini, magari con mansioni di ‘coordinatore dall’alto’, oppure barattava la sua cacciagione con frutta e verdura, giusto per ampliare la sua dieta. Nonostante se ne stesse sempre sugli alberi, egli non mancava mai di partecipare alle vicende familiari; appollaiandosi su qualche ramo che sporgeva verso la casa poteva assistere ai ricevimenti, oppure, sedendosi sul grande olmo vicino alla chiesa poteva addirittura ascoltare la messa. Un altro episodio interessante della vita di Cosimo, riguarda anche il suo stranissimo incontro col brigante Gian dei Brughi che, all’epoca, si diceva fosse il ladro più testo e spietato di tutta la contea. Il neo-barone di Rondò (suo padre aveva infatti deciso di cedergli comunque il titolo nobiliare, nonostante le sue assurde abitudini) desiderava tanto conoscere questo personaggio, finché un giorno gli capitò di avere la possibilità di aiutarlo a scappare da un inseguitnento della polizia locale. Così iniziò la sua amicizia con Gian dei Brughi, che si scopri poi essere un brigante ormai tramontato, che voleva solamente trascorrere la sua vecchiaia in pace. Fatto sta che Cosimo gli insegnò a leggere e ad apprezzare alcuni classici della letteratura, al punto che il criminale trascorreva le giornate chiuso nel suo nascondiglio a scorrere pagine e a fantasticare. Un giorno, però, alcuni suoi vecchi colleghi di furto convinsero Gian dei Brughi a compiere l’ultimo colpo della sua carriera, che gli fu fatale per essere arrestato. Condannato all’impiccagione, durante i giorni trascorsi in galera, l’ex-brigante pregava l’amico di portargli ugualmente dei libri da leggere con cui ingannare il tempo, e quando fu il momento dell’esecuzione, Cosimo ne fu così addolorato che vegliò sul cadavere per tutta la notte. Un’altra avventura interessante de “Il barone rampante” fa sicuramente riferimento allo zio di Cosimo, il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, che tra l’altro era fratello illegittimo del padre e sul cui passato non si sapeva granché. Una notte, Cosimo lo vide uscire dall’abitazione e, incuriosito, lo seguì fino al porto. Qui, dopo una serie di segnali con le lanterne, sbarcò da una nave ancorata al molo una frotta di pirati arabi, con i quali sicuramente il cavalier avvocato aveva fatto un patto per fare in modo che questi potessero nascondere il bottino. Cosimo decise di andare a chiamare i suoi amici carbonai che vivevano sulle colline, non solo perché potevano aiutarlo a scacciare i Mori, ma anche perché, essendo i più bisognosi e indigenti di tutta Ombrosa, avrebbero potuto trarre profitto dal ricco bottino di quei predoni. Sventato l’attacco dei pirati, Cosimo prese ad inseguirli per mare abbarbicato sull’albero maestro di una barchetta. Intanto, suo zio cercava a tutti i costi di raggiungere la nave araba, ma il capitano, considerandolo evidentemente responsabile dell’imboscata, lo decapitò con un colpo di sciabola. Una volta tornato a terra, Cosimo passava le sue giornate sui rami più bassi di un albero in piazza, raccontando alla gente le avventure di quella notte, e per non tradire il segreto dello zio naturale, imbastì una storia talmente bella e appassionante (nella quale Enea Silvio Carrega appariva addirittura come un eroe) che tutti ci credettero nonostante i particolari discordanti. Dopo questo episodio, Cosimo si dedicò ancora anima e corpo all’esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, finché un giorno giunse nei pressi di Olivabassa, dove si diceva che un’intera colonia di Spagnoli vivesse sugli alberi. Costoro erano dei nobilotti spagnoli ribellatisi al re Carlos III per motivi di privilegi feudali, che furono esiliati; per protesta essi non andarono via da Olivabassa, ma si stabilirono semplicemente sugli alberi, fino ad aspettare il momento in cui il sovrano li avrebbe richiamati giù. Qui Cosimo conobbe alcuni personaggi importanti, come Don Sulpicio o Don Frederico, con la cui figlia, Ursula, sperimentò le prime gioie amorose. Accadde però che arrivò il tanto anelato decreto reale con il quale queste famiglie potevano ritornare ai propri possedimenti: nonostante Ursula avesse chiesto a Cosimo di sposarla, questi rifiutò perché altrimenti sarebbe stato costretto a mancare alla promessa fatta ormai tanti anni prima di non scendere mai dagli alberi. Da questo momento, il nuovo barone di Rondò poteva vantare di avere come amanti tutte le più belle donne di Ombrosa che, attratte dal fascino di stare sugli alberi, cedevano immediatamente alle profferte amorose di Cosimo. Alcuni anni più tardi, mori il padre di Cosimo e Biagio, seguito a breve distanza dalla moglie, soprannominata la Generalessa. Così Cosimo divenne ufficialmente barone di Rondò, e grazie all’aiuto del fratello nella gestione economica e familiare, nessun abitante di Ombrosa si lamentò mai del suo operato. La sua felicità fu ancora più completa quando scoprì che anche Viola era tornata nella casa paterna, dal momento che l’uomo che aveva sposato da poco, un nobile ottantenne, era morto. Viola fu anch’ella contentissima di rivedere l’amore della sua infanzia, e si mostrò disponibilissima a salire con lui sugli alberi per occupare i numerosi giacigli che Cosimo aveva costruito per le sue precedenti amanti. Tuttavia, la devozione che egli provava per Viola non era del tutto ricambiata, poiché lei ad ogni occasione si ingraziava sempre nuovi spasimanti, e faceva la civetta con chiunque la degnasse di qualche attenzione. Stanca delle scenate di gelosia di Cosimo, la marchesa Viola decise di ripartire, lasciando nella più completa disperazione e in uno stato di pazzia acuta lo sventurato barone. Un altro evento importante al quale Cosimo partecipò fu la guerra in corso fra gli Austro-sardi e i Francesi in seguito alla Rivoluzione, infatti, ad Ombrosa erano penetrate sia le truppe francesi per proclamare l’annessione alla ‘Grande Nazione Universale’ tanto sostenuta dai Giacobini, sia le truppe austriache, convocate per assicurare la neutralità della Repubblica di Genova. Cosimo, dall’alto dei suoi alberi, poteva scrutare tutti questi movimenti, e come raccontò agli Ombrosoli, in più occasioni boicottò i battaglioni austriaci per aiutare invece nei modi più inconsueti quelli francesi. Alla fine, furono le Armate Repubblicane ad avere la meglio sugli Austriaci, in occasione degli scontri di Dego e di Millesimo, e ad Ombrosa fu finalmente sancita la totale appartenenza alla Francia. Cosimo fu trattato come un vero eroe, al punto che lo stesso Napoleone decise di degnano di una propria visita. Tuttavia, egli non era più quello d’un tempo, e cominciava a diventare vecchio; passava le sue giornate su un albero della piazza, mendicando qua e là qualcosa di caldo da mandare giù. Il fratello fece in modo che negli ultimi giorni della sua vita, Cosimo potesse avere tutte le comodità possibili, e quando arrivò il momento fatale, mandò a chiamare un prete per la benedizione. Ma Cosimo, come preso da una smania inspiegabile, saltò sui rami più alti dell’albero. Proprio in quel momento, passò nel cielo una mongolfiera che aveva problemi neI prendere quota; Cosimo si aggrappò alla fune dell’ancora, e si buttò in mare non appena il velivolo sorvolò il golfo di Genova. Così mantenne la sua promessa di non scendere mai dagli alberi.







• Spazio e tempo



Le vicende narrate ne “Il barone rampante”, si svolgono in un paese immaginario, Ombrosa, che è situato in un punto imprecisato della Riviera ligure. L’autore si preoccupa di fornirci anche delle dettagliate descrizioni paesaggistiche, che derivano forse dalla sua profonda conoscenza di queste zone dove aveva trascorso l’infanzia. il territorio di Ombrosa, oltre ad essere vicino al mare, era composto anche da ampli spazi adibiti all’agricoltura, che si alternavano a immense distese di boschi o alberi da frutto sui quali Cosimo si arrampicava e passava l’intera giornata. Calvino ci lascia immaginare che il territorio fosse gestito da alcune famiglie più o meno nobili che fungevano da piccoli proprietari terrieri costretti a pagare alla Repubblica di Genova (o Ligure, come fu chiamata in seguito all’annessione francese) tasse e decime. Infatti, l’arco temporale in cui si svolgono le vicende narrate parte dal 1767, come dichiara esplicitamente l’autore all’inizio del libro; si tratta di un’epoca molto movimentata della storia, in quanto, solo pochi anni più tardi, hanno luogo la Rivoluzione francese e la guerra condotta da Napoleone contro gli Austriaci. È proprio per questo motivo che anche la cittadina di Ombrosa si trova divisa in due fazioni politiche: da un lato vi sono i Rivoluzionari e i giacobini, tra cui lo stesso Cosimo, che sostengono l’Armata Francese e l’annessione del Genovese alla Francia; dall’altro vi sono invece i più conservatori, che chiedono di preservare la Repubblica neutrale. Altri elementi che permettono comunque di identificare l’epoca in cui si svolgono i fatti, indipendentemente dalle vicende politiche, sono le diverse citazioni di autori famosissimi che Cosimo legge. Si parla infatti dell’Enciclopedia Universale, alla cui stesura collaborarono Voltaire, Diderot, Rosseau e D’Alambert, e di altri celebri scritti dai temi innovatori che proclamavano i principi della Rivoluzione, ovvero libertà, fratellanza e uguaglianza.







• Personaggi



Il personaggio principale de “Il barone rampante” è senza ombra di dubbio Cosimo. L’autore celebra di lui il coraggio e anche la forza di volontà che l’hanno spinto a disobbedire volutamente e a lasciare la famiglia, iniziando una nuova vita di sfide contro gli altri e soprattutto contro sé stesso lassù sugli alberi. L’episodio che è stata ‘la goccia che ha fatto traboccare il vaso’ si riferisce ad un pranzo familiare, in cui Cosimo rifiutò di mangiare le lumache, una delle tante stranezze culinarie preparate dalla sorella Battista. Questo rifiuto segnò il cambiamento totale della sua esistenza; un’esistenza adesso condotta sugli alberi, ma non per questo monotona o stancante, anzi, si potrebbe definire addirittura avventurosa. Tuttavia, pur vivendo in un’altra dimensione, Cosimo non dimentica i propri obblighi familiari, partecipando dalla cima di qualche albero a feste e ricevimenti, e assistendo i propri genitori quando erano ormai in fin di vita. Lo stare sugli alberi rappresenta comunque per lui un pretesto per mantenere tra se e i suoi simili una ‘minima ma invalicabile distanza’, come sostiene l’autore stesso. Infatti, questa immagine di un uomo che si arrampica sulle piante per sfuggire alla solita routine e alla solita gente (pur essendo portata alle estreme conseguenze e presentata da Calvino come un paradosso), rappresenta in un certo senso l’immagine dell’uomo attuale, che, oppresso molto spesso dal lavoro, dalle persone, o semplicemente dalla noiosa quotidianità, decide di trovare una via di scampo e di evadere. Ciò che apprezzo maggiormente in Cosimo è comunque l’ostinazione, qualità (o difetto?) che l’ha fatto perseverare nel suo obiettivo iniziale dì non discendere mai dagli alberi. Infatti, persino in punto di morte, egli ha avuto la forza d’animo di non lasciarsi trasportare giù a terra, e ha preferito agganciarsi alla corda di una mongolfiera di passaggio e di buttarsi in mare, piuttosto che essere sepolto. Un altro personaggio fondamentale del racconto è Biagio, fratello minore di Cosimo, che deve la propria importanza per il fatto di essere l’io narrante delle vicende. All’età della ribellione del fratello, questi aveva appena otto anni, e di conseguenza, nonostante avesse promesso a Cosimo di dargli manforte in qualunque situazione, non aveva avuto il coraggio di abbandonare le comodità familiari. Accusato di codardia, decise di fare il possibile per rendere al fratello più agevole la vita sugli alberi, procurandogli del cibo, delle coperte, degli abiti e persino dei fucili per cacciare. Nonostante avesse cercato più volte di convincerlo a scendere, Cosimo non aveva mai desistito dal suo proposito iniziale, e solo alcuni anni più tardi, Biagio capì che l’ostinazione del fratello celava qualcosa di molto più profondo di un atto di disobbedienza. Inizialmente, quindi, le avventure de “Il barone rampante”, sono leggermente filtrate attraverso l’ottica di un bambino, ovvero Biagio, il quale ci racconta molti episodi riportando le parole, spesso incredibili, di Cosimo. Anche la figura di Biagio, però, a mio parere viene messa in luce dall’autore non solo per evidenziare il contrasto e la diversità di carattere fra lui e Cosimo, ma anche per farci conoscere un ulteriore tipo d’uomo, ovvero quello che nella vita non ha mai voluto schierarsi (per paura o per convenienza) né da una parte né dall’altra, seguendo il corso degli eventi così come procede. In effetti, oltre all’episodio in cui Biagio rifiuta di seguire Cosimo sugli alberi, vi sono altre situazioni in cui questi preferisce rimanere nell’ombra piuttosto che emergere (e quindi rischiare) come il fratello. Ad esempio, durante la guerra fra Francia e Austria, a Ombrosa si erano organizzate alcune riunioni segrete della Massoneria: Cosimo prese parte a tutte per sostenere il proprio ideale, Biagio invece cercò di rimanere sempre abbastanza nascosto, non schierandosi né dalla parte dei conservatori né da quella dei rivoluzionari, proprio per non correre pericoli e rischiare di perdere i beni e la faccia. Quindi, forse da un certo punto di vista si può ritenere più apprezzabile il comportamento di Cosimo, anche se, lo ammetto, io preferirei una via di mezzo. Un altro componente della famiglia dei Rondò è la sorella di Cosimo e Biagio, la primogenita Battista. Dopo una scandalosa fuga d’amore con il marchese Della Mela, i genitori decisero di spedirla in convento, e nonostante non avesse preso i voti per la sua dubbia vocazione, Battista tornò a casa. Così ella cercò di scaricare la propria tensione e la propria malinconia dedicandosi all’arte culinaria in un modo tutto suo: pare infatti che squartasse gli animali, o comunque preparasse dei piatti assai macabri. In cantina, teneva un barilotto pieno di lumache, che cucinava in tutte le salse, e una volta che Cosimo e Biagio le liberarono per pietà, accadde il finimondo: furono puniti e stettero per più di una settimana in castigo. A dire la verità, il comportamento di Battista non si può neppure biasimare: anche la sua si può in un certo senso definire una forma di ‘evasione’ dagli obblighi impostategli dai genitori. Comunque, per lei le cose vanno a finire bene, poiché durante un ricevimento a casa, conobbe un nobilotto locale, e i genitori acconsentirono piuttosto di buon grado prima al fidanzamento e poi al matrimonio. Un altra figura importante del romanzo è certamente il barone Arminio Piovasco di Rondò, ovvero il padre di Cosimo, Battista e Biagio. Nel libro viene certamente sottolineata la sua preoccupazione quasi morbosa per la gestione di Ombrosa: infatti, come racconta Biagio: “Il barone nostro padre era un uomo noioso, questo è certo, anche se non cattivo: noioso perché la sua vita era dominata da pensieri stonati, come spesso succede nelle epoche di trapasso. L’agitazione dei tempi a molti comunica un bisogno d’agitarsi anche loro, ma tutto all’incontrano, fuori strada: così nostro padre, con quello che bolliva allora in pentola, vantava pretese al titolo di duca d’Ombrosa, e non pensava ad altro che a genealogie e successioni e rivalità e alleanze con i potentati vicini e lontani”. Forse, queste sue preoccupazioni eccessive per la politica, ebbero delle conseguenze negative sui figli soprattutto su Cosimo, la cui disobbedienza si potrebbe interpretare anche come una carenza d’affetto da parte del padre. Da questo punto di vista, però, non è da meno neppure la madre, Konradine von Kurtewutz, soprannominata la Generalessa per via del suo carattere estremamente autoritario. Konradine era figlia di un generale tedesco, e dopo la morte della madre, fu costretta a seguire il padre da un accampamento all’altro, acquisendo quella sicurezza di sé e quel modo di comandare che si possono coltivare solamente in un ambiente militare. Anche dopo il matrimonio, forse per protesta nei confronti del marito, le era comunque rimasta la paterna passione militare, al punto che si racconta realizzasse degli splendidi ricami al tombolo che rappresentavano mappe di zone in cui si era svolta una qualche guerra, e che venivano poi addirittura ornati con delle bandierine che segnalavano i vari appostamenti e la posizione delle truppe nemiche. Lo stesso rigore che la Generalessa aveva nell’ esercito, lo portò quindi anche nella famiglia, scaricandolo in modo particolare sui figli, cui dedicava sicuramente poche attenzioni. Forse l’esempio di Calvino viene portato un po’ all’eccesso, ma è anche vero che molto spesso, le persone che tendono ad essere un po’ troppo rigide e abitudinarie e che vogliono rientrare a tutti i costi entro determinati schemi, sono anche le più cieche, quelle che non vedono più in là del proprio naso. Per Konradine il meccanismo è stato lo stesso: dopo la decisione di Cosimo di rimanere sugli alberi, ella non si preoccupò più di tanto; anzi era addirittura contenta perché così poteva seguire tutto il giorno gli spostamenti del figlio col binocolo, segnalandoli poi su una cartina, e risvegliando in sé la passione militare che si era un po’ affievolita con la morte del padre. Un altro personaggio che appartiene alla famiglia dei Rondò. è il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, fratello naturale del barone. Del suo passato si sa poco o niente: pare che fosse stato addirittura in Turchia, come testimonia la sua conoscenza della lingua e il suo sfoggio di abiti tipicamente orientali. Ci viene immediatamente presentato come un tipo piuttosto riservato, e poiché era stato salvato dal fratello illegittimo da una sicura condanna a morte, cercava di dimostrarsi a tutti i costi docile e servizievole nei suoi confronti, occupandosi dei problemi di irrigazione e di idraulica dei territori di Ombrosa. In realtà, questo personaggio nasconde una doppia vita, che viene scoperta da Cosimo una notte in cui il cavalier avvocato doveva sigillare la propria alleanza coi pirati musulmani permettendo loro di nascondere la refurtiva nei pressi del porto di Ombrosa. Anche questo personaggio non ha però una fine felice: accusato di tradimento dal capitano della nave araba, viene decapitato e gettato in mare. L’ultimo personaggio che fa parte della famiglia di Cosimo è l’abbate Fauchelafleur, un vecchietto secco e grinzoso di cui la gente lodava il carattere rigoroso e la severità interiore. Così era stato ingaggiato come precettore di Cosimo e Biagio, anche se, in realtà, era una persona totalmente diversa da quello che si credeva: si perdeva in lunghe meditazioni con gli occhi fissi nel vuoto, quasi stesse ripensando alla fonte della sua vocazione, ed era così disinteressato a ciò che accadeva ai ragazzi, che questi se la svignavano senza che lui nemmeno se ne accorgesse. La cosa assurda è che, quando Cosimo sugli alberi decise di dedicarsi alla letteratura, pregò il povero vecchio di salire con lui per essere illuminato su alcuni autori di cui, a dire la verità, conosceva più lui che non quello che sarebbe dovuto essere il suo maestro. Prendendo in considerazione i personaggi, non si può tralasciare neppure il grande amore di Cosimo: Viola. Il suo incontro con lei risaliva a molti anni prima, quando, esplorando i dintorni ‘arborei’ della propria villa, Cosimo notò una bambina che si dondolava sull’altalena: “Era una bambina bionda, con un’alta pettinatura un po’ buffa per una bimba, un vestito azzurro anche quello troppo da grande, la gonna che ora, sollevata sull’altalena, traboccava di trine. La bambina guardava a occhi socchiusi e naso in su, come per un suo vezzo di far la dama, e mangiava una mela a morsi, piegando il capo ogni volta verso la mano che doveva insieme reggere la mela e reggersi alla fune dell’altalena, e si dava spinte colpendo con la punta degli scarpini il terreno (...)“. Già da queste poche righe, si profila il carattere di Viola che, nobile di nascita, o stenta forse un’eleganza e una pomposità un po’ eccessive. Dal momento che i suoi genitori erano molto impegnati e non potevano badare a lei, Viola era per così dire uno ‘spirito libero’: poteva uscire dalla sua proprietà quando voleva, e poteva persino frequentare la gente che voleva, come i ragazzini della famosa banda dei ladri di frutta, che la consideravano alla stregua di una principessa da proteggere e di cui contendersi le attenzioni. A dire il vero, Viola era ben contenta di stare a questo gioco, e spesso si comportava da vera e propria tiranna miei confronti dei suoi amici. Lo stesso trattamento era stato riservato anche allo sventurato Cosimo, che alla prima occasione veniva preso in giro e ferito nel suo orgoglio per l’abbigliamento inadeguato o per la sua strana abitudine di spostarsi sugli alberi. Tuttavia Cosimo rimase addirittura colpito da questo atteggiamento di sfida della ragazzina, e forse fu già dal primo giorno che la incontrò che se ne innamorò. Una volta cresciuto, il destino volle che la stessa Viola ritornasse ad Ombrosa come vedova di un ricco ottantenne, e si prestasse molto volentieri alle attenzioni dedicatele da Cosimo. Ma fu proprio l’atteggiamento volubile di Viola (che la spingeva a cercare sempre nuovi amanti fra i numerosi pretendenti), che condusse il povero barone di Rondò alla pazzia, pazzia che trovò un sfogo solamente in occasione della guerra contro gli Austriaci. Un altro personaggio, che forse ricopre un ruolo solamente secondario, è il brigante Gian dei Brughi, famoso bandito che, si diceva, depredava le campagne circostanti ad Ombrosa. Come già raccontato, Cosimo lo conobbe in un’occasione molto strana, ma capi fin dall’inizio che era inoffensivo. Decise così di iniziarlo alla lettura di alcuni libri e testi all’epoca molto famosi, e Gian dei Brughi, completamente preso da questa nuova occupazione, finì per abbandonare il furto per dedicarsi anima e corpo a sfogliare pagina su pagina. Cosimo si prodigava per procurargli sempre nuove letture, e rimase sconcertato quando, su ricatto, l’ex-brigante fu costretto a compiere un ultimo colpo e fu colto in flagrante. Nonostante fosse imprigionato in attesa dell’impiccagione, Gian dei Brughi continuò a leggere di nascosto fino alla fine, e secondo me, anche se la sua presenza nel romanzo non è fondamentale, rappresenta comunque la testimonianza che Cosimo, nella sua carriera di barone, in fin dei conti combinò qualcosa di buono, anzi, forse più di ciò che avrebbe potuto fare se fosse vissuto normalmente sulla terra.







• Temi e commento



A mio parere, i temi che si intrecciano ne “Il barone rampante”, sono molteplici e possono essere interpretati personalmente in vari modi. Forse il filone attorno al quale gravitano tutti gli eventi di Cosimo è quello della fuga; fuga che qui viene concretizzata come una reale sparizione dalla vita quotidiana per rifugiarsi sugli alberi, ma che allude teoricamente alla fuga o al desiderio di evasione che ciascuna persona porta insita nel proprio carattere. Cosimo è stanco di essere rimproverato dai genitori e di dover subire le angherie della sorella, e così fugge, promettendo di non tornare più; allo stesso modo l’uomo, pressato dalla routine quotidiana, dal lavoro o semplicemente dalla noia, spesso decide di fuggire per ritirarsi in un mondo tutto suo. Un commento dell’autore della presentazione del libro dice che “La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più ardua e rigorosa di quella a cui ci si ribella.”. Secondo me, questo è vero, perché Cosimo ha anche il coraggio e la perseveranza di rimanere coerente con gli impegni presi, e alla fine, quello che inizia come un semplice atteggiamento di sfida nei confronti dei genitori, diventa una vera e propria dottrina di vita, con delle scadenze che forse sono ancora più difficili da mantenere rispetto a quelle date dai genitori. Ancora, il comportamento di Cosimo, oltre che come un atto di esplicita disobbedienza, potrebbe anche essere considerato come un vero e proprio atto di pazzia, come dichiarano tutti gli stessi compaesani di Ombrosa. Quindi, da questo punto dì vista, Cosimo potrebbe addirittura incarnare la figura dell’ ‘alienato mentale’ che viene decantato, ad esempio, in molte delle novelle di Pirandello. Tuttavia, se si considerano le motivazioni per cui Cosimo ha raggiunto la follia, il suo atteggiamento di fronte alla vita diventa immediatamente comprensibile e tollerabile agli occhi degli altri, e addirittura in molti personaggi del romanzo si possono cogliere delle note di pietà e compassione per il protagonista. In fin dei conti, questa stessa tematica si ripercuote anche sugli altri personaggi de “Il barone rampante”, anche se magari con minore incisività rispetto a Cosimo. Ad esempio, non si può dire che i genitori di Cosimo abbiano anche loro ‘tutte le rotelle a posto’: basti pensare, ad esempio, al loro comportamento di fronte alla decisione del figlio di vivere sugli alberi e alla facilità con cui hanno accettato questa situazione. Anche la stessa Battista, sorella di Cosimo, potrebbe essere considerata ‘un’alienata’, vedendo le sue strane abitudini culinarie e il suo istinto di impallinare qualcuno ogni qual volta si contestasse una sua pietanza. D’altro canto, però, bisogna osservare anche il motivo di questa sua follia, che deriva certamente dall’imposizione da parte dei genitori, di farsi monaca per riparare alla sua ingiustificata fuga d’amore col marchese. Quindi, a mio parere, all’interno di questo libro non bisogna concentrare l’attenzione solo sul personaggio di Cosimo, perché si intrecciano molteplici altre vicende interessanti che rispecchiano, nel loro piccolo, le stesse motivazioni e lo stesso desiderio di fuga dalla realtà che ha il protagonista. Io però preferisco credere che l’atteggiamento di Cosimo non sia quello di un pazzo, ma semplicemente quello di una persona particolarmente furba e ponderata, che constatando che nel mondo non c’è posto per lei, decide di farsi notare in un altro modo, appunto conducendo una vita diversa e cercando di mantenere fra sé e i propri simili una minima ma invalicabile distanza che le permetta di avere sempre il controllo della situazione.



IL BUIO OLTRE LA SIEPE

La trama si svolge nella città di Maycomb, nella contea di Abbott, nel sud dell'Alabama, al confine con lo Stato del Mississippi. L'anno è il 1932.



I protagonisti del romanzo sono Jem e Scout (quest'ultima è anche la narratrice della storia). Essi sono i due figli dell'avvocato Atticus Finch. I due ragazzi, un'estate, conoscono un altro bambino, Dill, con il quale stringono amicizia. L'interesse dei tre è attirato dalla figura di Arthur Radley detto "Boo", il misterioso vicino di casa generalmente considerato un uomo violento e per questo chiuso in casa dai genitori. Ma nel tempo si accorgono che Boo, senza farsi vedere, rivolge premurose attenzioni a loro.



Bisticciando con altri ragazzi, Scout è offesa quando questi chiamano suo padre "negrofilo". Alle sue domande, Atticus spiega: è stato nominato d'ufficio per difendere in un processo un uomo di colore, Tom Robinson, anche se sa che la si può considerare una causa persa. Solo quando vanno con la domestica Calpurnia nella chiesa della comunità nera della città, Jem e Scout scoprono la natura delle accuse rivolte a Tom: è stato accusato dagli Ewell per violenza carnale. Manca poco tempo al processo ed Atticus comincia ad essere perseguitato dai razzisti, i quali già sanno che perderà.



Il giorno del processo, i tre ragazzi si recano in tribunale e trovano posto nella balconata riservata alle persone di colore. Il primo a testimoniare è lo sceriffo Heck Tate, che racconta di essere stato informato da Robert Ewell (detto "Bob") della violenza di sua figlia Mayella e che lei stessa ha fatto il nome di Tom Robinson. Mayella è la seconda a testimoniare e dice di aver lasciato entrare Tom perché le sfasciasse un mobile e di essere stata assalita da lui mentre gli voltava le spalle. Il terzo è l'imputato, Tom. Afferma di essere stato chiamato in casa da Mayella. Lì - continua - Mayella avrebbe tentato di baciarlo e lui, impaurito, sarebbe fuggito. In un discorso, Atticus fa notare che Tom non è il colpevole perché i segni di violenza erano sulla parte destra del corpo (dal punto di vista della donna), mentre Tom è paralizzato al braccio sinistro, mentre Bob Ewell è mancino. Dopo ore di attesa, la giuria esprime il verdetto di colpevolezza perché Tom aveva detto di provare pena per la ragazza.



Si intensificano le persecuzioni subite da Atticus e con esse le paure dei due ragazzi, ma il padre li rassicura. Un giorno Atticus comunica la notizia della morte di Tom, ucciso da colpi di proiettile mentre cercava di fuggire durante l'ora di passeggio. Passa il tempo e l'interesse per i fatti comincia a calare. Continuano le azioni provocatorie da parte di Bob Ewell nei confronti di chi gli ha messo i bastoni fra le ruote.



La sera di Halloween viene organizzato uno spettacolo nella scuola di Maycomb. Scout e Jem stanno andando verso casa, dopo la rappresentazione, quando vengono assaliti da un adulto. Nella confusione, Scout si libera e vede un uomo che porta Jem a casa. Quella persona è Arthur Radley. Nel luogo della colluttazione, inoltre, viene ritrovato il corpo di Bob Ewell pugnalato al petto. Atticus teme che Jem venga implicato nel processo, ma lo sceriffo decide di insabbiare il caso: Bob si è suicidato per errore. Scout accompagna Arthur a casa e lo saluta per l'ultima volta. Torna poi da Atticus che la porta a letto.



2° RIASSUNTO



A Maycomb, Jem e Scout (figli di Atticus Finch) un'estate conoscono un altro bambino, Dill, e ci fanno amicizia. I tre sono attirati da Arthur Radley detto Boo, considerato un uomo pericoloso e violento, rinchiuso nella casa accanto alla loro. Ma, col passare del tempo, si accorgono che Boo, senza farsi vedere, si preoccupa dei tre. Atticus spiega che è stato nominato d'ufficio per difendere un uomo nero, Tom Robinson, anche se sepeva che avrebbe perso. Solo quando vanno con Calpurnia in chiesa, Jem e Scout scoprono perché Tom è un imputato: è stato accusato dagli Ewell per violenza carnale. Poco prima del processo Atticus comincia ad essere perseguitato dai razzisti, perché sanno che perderà, poiché pensano che abbia torto. Il giorno del processo, i tre ragazzi vanno in tribunale. Il primo a testimoniare è lo sceriffo Heck Tate, che dice di essere stato informato da Robert Ewell (detto Bob) della violenza di sua figlia Mayella e che lei ha fatto il nome di Tom Robinson. Mayella è la seconda testimoniante e dice di aver lasciato entrare Tom perché doveva fare un lavoro. Il terzo che confessa è Tom. Non smentisce di essere stato chiamato in casa da Mayella. Lì Mayella ha tentato di baciarlo e lui, impaurito, è fuggito. Atticus fa notare che Tom non è il colpevole perché i segni di violenza erano sulla parte destra del corpo, mentre Tom è paralizzato al braccio sinistro. Dopo qualche ora, la giuria decide chi è il colpevole. Un giorno Atticus comunica che Tom era stato ucciso da colpi di pistola. Bob Ewell continua a provocare quello che considera suoi nemici. Durante una festa di Halloween Scout e Jem stanno andando verso casa, dopo la recita, quando vengono assaliti da un adulto. Nella confusione, Scout si libera e vede un uomo che porta Jem a casa. Quell'uomo è Arthur Radley. Nel luogo della lotta, viene ritrovato il corpo di Bob Ewell pugnalato al petto. Lo sceriffo, dopo aver parlato con Atticus, e dopo aver deciso insieme a lui, disse che Bob è caduto sul suo coltello mentre assaliva i bambini, invece era stato Boo, per difenderli. Scout accompagna Arthur a casa e lo saluta per l'ultima volta. Poi torna da Atticus che la porta a letto.



STAGIONI

Si parte dall'inverno che, come lui stesso ha dichiarato, è la sua stagione preferita: "sono nato alle soglie dell'inverno, in montagna - esordisce - e la neve ha accompagnato la mia vita".

Ci fa riflettere sulla relatività delle cose: il freddo, il gelo... quella che oggi ci sembra una temperatura insopportabile in casa o fuori era fino a pochi anni fa normale ed era sufficienteindossare le mutande di lana e bere un tè caldo per superare la rigidità del clima. Per non parlare di chi ancora adesso vive in quelle zone della Siberia dove non arrivano i rifornimenti...



La guerra, lo spaventoso gennaio del 1942 con -39°, le sofferenze dei militari e dei civili. E, ancora, gli animali che in inverno animano il bosco anche quando la neve ricopre tutto. Il maestoso grifone, il gufo delle nevi, arrivato da molto lontano, le lepri, il capriolo, le volpi, il francolino di monte... quanti di noi non sanno neppure che aspetto abbiano?



"Sensi e fantasia ti aiutano a scoprire la primavera del bosco, che è misteriosa, segreta, viva".

Eccoci dunque alla primavera, ai canti degli uccelli, al ronzio delle api, alle nuove corna dei cervi, alla livrea più bella dell'urogallo, alla gioia inspiegabile che accompagna i più giovani quando le giornate cominciano ad allungarsi e la temperatura ad alzarsi.

"Se la prima neve che senti scendere in una notte di novembre è un invito a raccogliersi nei ricordi o nella lettura, la prima pioggia d'aprile che ascolti battere sul tetto ti dà ristoro e distensione, ritrovi un amabile sonno e poi, al mattino, il desiderio di andare, di uscire fuori a camminare in libertà e senza una meta perché la primavera non ha confini. Magari vorresti rincorrerla verso il Nord con quella coppia di cicogne che avevano sostato qualche giorno sugli stagni dei pascoli e sono volate via salutando noi che restiamo".

Chi saprebbe descriverla meglio?



E siamo arrivati all'estate.

Il fieno sui carri, le mucche agli alpeggi, le stelle alpine, i giovani camosci, i mirtilli, un formaggio meraviglioso e il pericoloso e impegnativo gioco della ricerca dei nidi dei calabroni, trafugati e spostati vicino a casa per raccogliere il loro miele. Quante madri oggi autorizzerebbero i figli a realizzare una simile impresa?

In questa estate ci imbattiamo anche, a sorpresa, nei ricordi del mare, tra scogli, spiagge e pescherecci, del Basento, di un'isola dalmata, di Rovigno e di un viaggio, molto gradito, nel Salento. "Le torri di guardia lungo quel mare profondamente azzurro mi facevano sognare che in qualcuna sarebbe stato bellissimo passare un'estate. Ma anche tutta la vita, che non sarebbe stata dura con quel mare davanti, con quel retroterra di frumenti e ulivi. Lì, con un centinaio di libri, un bell'orto, un piccolo frutteto con aranci e mandarini. Senza telefono, senza televisione. Come sarebbe stato l'inverno? Mi sarebbe mancata la neve?"



Chiudiamo con l'autunno, la stagione della discesa dagli alpeggi, delle lucide foglie degli aceri montani, delle prime brine in alta quota, del fervore preparatorio delle marmotte avviate verso il letargo invernale, dei bramiti d'amore dei cervi, dell'avvicinamento a valle dei camosci, delle storie di caccia, che per la verità Rigoni Stern, che non appare affatto contrario, racconta con passione.

"Tante cose nel corso delle stagioni la natura può insegnare a chi osserva; ma è nell'autunno che il bosco si fa leggere con chiarezza: lo sviluppo delle crescite annuali degli alberi, la maturazione dei frutti e delle drupe nel sottobosco e, magari, le brutte tracce del passaggio degli uomini incivili. Dall'abbondanza delle squame e dei torsi degli strobili sotto le conifere possiamo intuire le famiglie desgli scoiattoli acrobati sopra le nostre teste, da una rosso-bianca amanita muscaria sbocconcellata puoi supporre che un capriolo o un cervo l'abbiano ricercata per drogarsi. Forse potrai sorprenderti nel vedere un cerchio, o due cerchi a forma di 8 attorno a un giovane abete o a un faggio: è come un sentiero battuto e tutt'attorno l'erba è calpestata e anche strappata; qui tra luglio e agosto, i caprioli avevano fatto la giostra, ossia quando erano pronti per l'accoppiamento maschio e femmina si erano insistentemente rincorsi emettendo dei fischi come sospiri amorosi."
Alex Del Piero
2008-08-09 07:33:08 UTC
SE QST è UN UOMO:

Il libro narra le esperienze dell’autore nel periodo in cui fu deportato dai nazisti nella Seconda Guerra Mondiale nel lager di Buna-Monowitz nei pressi di Auschwitz. La vicenda inizia dall'arresto avvenuto la notte del 13 dicembre 1943 fino al momento della liberazione dal Lager la mattina del 27 gennaio del 1945. Le esperienze sono presentate dallo scrittore con il metodo dell’intreccio, perché la narrazione degli eventi è lineare ma spesso l’autore ci fornisce anticipazioni su ciò che accadrà (è già accaduto) al personaggio. L’autore utilizza quindi più modalità per raccontare la sua vicenda: quella del resoconto, in cui gli avvenimenti ci sono esposti nella loro successione cronologica; quella dell’accostamento dei fatti ad idee più generali sulla condizione umana e quella di impianto diaristica adottata nelle ultime pagine, che è più adatto a raccontare gli ultimi eventi. La testimonianza che Levi ci affida attraverso le pagine del suo libro non è altro che una lunga meditazione sull'opera di annientamento della personalità umana da parte dei nazisti, cosa che è il primo obiettivo dei campi di sterminio.

Dopo averci narrato come fu catturato dai fascisti e condotto nel campo di concentramento, e dopo averci descritto attraverso pagine altamente drammatiche come gli ebrei internati nel campo accolsero l'annuncio della deportazione Levi affronta la descrizione del viaggio che lo conduce dalla piccola stazione di Carpi, in Italia, ad Auschwitz nell'Alta Slesia. Giunti a destinazione, il meccanismo dell'annientamento si mise subito in moto: fu il primo episodio di una lunga serie di eventi analoghi il cui unico scopo fu di giungere, per gradi, alla totale eliminazione dei deportati. Coloro che furono in grado di essere utilizzati come mano d'opera furono condotti ai campi di lavoro; tutti gli altri, vecchi, inabili, bambini e tutti coloro che non erano adatti al lavoro manuale vennero portati nelle camere a gas. Coloro che si “salvarono” da questa prima eliminazione vennero spogliati (anche della dignità) e vennero rivestiti con casacche a righe e zoccoli, gli venne inoltre tatuato sul braccio sinistro un numero che da quel momento prese il posto del loro nome. Tutti gli internati furono trasferiti durante il giorno presso una fabbrica di gomma, dove svolsero un lavoro massacrante. I piú deboli presto furono stroncati dalla fatica, dalle privazioni, dalle malattie e dal freddo. All'interno del Lager governavano il privilegio, l'ingiustizia, il sopruso, l'abilità personale, l'astuzia; chi non aveva abilità da sfruttare non poteva sopravvivere a lungo. All'interno di questo quadro vengono descritte alcune figure umane, ferocemente o pietosamente tratteggiate dall'autore a seconda dei casi, che incarnano modelli umani veramente esistiti in tempo di guerra. Dopo non molto tempo Primo Levi venne assegnato al kommando chimico, che lo esonerava dalle fatiche massacranti sostenute fino a quel momento. Ma questo non gli impedì di passare mesi contrassegnati da patimenti nonché da un'altra " selezione " prima di entrare a far parte del laboratorio e poter cominciare a nutrire la speranza di superare un altro durissimo inverno. Nel frattempo hanno inizio i bombardamenti degli Alleati sull'Alta Slesia ed anche la fabbrica è colpita. Costretti a lavorare fra la polvere e le macerie, costantemente esposti ai pericoli delle incursioni aeree nonché fatti oggetto da parte dei loro oppressori e aguzzini di una raddoppiata ferocia a causa della tragedia che incombe sulla Germania, i deportati subirono tutto il peso di una situazione che diventava ogni giorno sempre piú insostenibile. L'autore in maniera del tutto inaspettata e quando ormai aveva rinunciato a sperare, fu destinato al laboratorio dove trascorse gli ultimi mesi di prigionia, in un ambiente riscaldato e a contatto con materiali e strumenti che gli ricordavano i suoi studi e la sua professione. In questo periodo avvenne la prima stesura di “Se questo è un uomo” e fu proprio nel raccoglimento consentitogli dal laboratorio che egli avvertì per la prima volta la necessità di sopravvivere per poter testimoniare, nonché la possibilità di dare un senso alle sofferenze patite ed una giustificazione alla propria esperienza rendendone partecipi gli altri attraverso un libro di memorie. Il fronte russo si stava avvicinando, i tedeschi erano ormai consapevoli della catastrofe imminente e si apprestarono a far evacuare i campi di sterminio e a distruggere gli impianti. Era il gennaio 1945. Questi ultimi drammatici avvenimenti ci sono narrati sotto forma di diario. L'autore, che nel frattempo era ricoverato nelle baracche adibite ad ospedale, assistette alla partenza dei suoi compagni. Morirono tutti durante un’interminabile marcia attraverso la Germania, mentre i malati, abbandonati a se stessi, rimasero nel Lager devastato, senza cure, né acqua, né cibo, ad una temperatura di venti gradi sotto zero, decimati dal tifo, dalla difterite, dalla dissenteria. Levi è tra i pochissimi che riuscì a sopravvivere e le pagine conclusive del libro ci danno la cronaca allucinante di quello che accadde in quei terribili dieci giorni e precisamente dal 19 gennaio al 27 gennaio del 1945. Quando all'alba del 27 gennaio arrivarono i russi, lo spettacolo che si offre ai loro occhi fu quello terrificante dei cadaveri che erano accumulati sulla neve e dei pochi superstiti che si aggiravano come spettri fra le rovine del campo.





IL BARONE RAMPANTE:

“Il barone rampante” narra le avventure del giovane Cosimo, figlio secondogenito del barone di Rondò, che, stufo di dover obbedire alle pretese dei genitori e di dover sopportare le cattiverie della sorella Battista, decide di fuggire dalla solita routine quotidiana per rifugiarsi sugli alberi. Come spiega il fratello Biagio, all’inizio si credeva che presto Cosimo si sarebbe stancato di questo genere di vita e sarebbe sceso, ma in realtà non fu così. Anzi, dopo aver trascorso un periodo di scoperta e di esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, affinando le tecniche di caccia e di sopravvivenza, il futuro baronetto diventa il protagonista di una serie di ardimentose imprese che vengono pazientemente raccolte dal fratello minore. Ad esempio, si racconta della sua strana amicizia con Viola D’Onda riva, la figlia dei suoi ricchissimi vicini di casa, attraverso la quale aveva potuto fare anche la conoscenza con la famosa banda dei ladri di frutta, composta da alcuni ragazzini che organizzavano scorribande per tutta la regione. All’epoca, Cosimo aveva appena dodici anni, ma quello che maturò per Viola fu un vero sentimento d’amore, che si spezzò per lui quando quest’ultima dovette trasferirsi da Ombrosa in un altro paese con la sua famiglia. Purtroppo, durante il trasloco accadde che uno dei cani della bambina, per la precisione un bassotto, fu dimenticato alla villa, e Cosimo approfittò dell’occasione per adottare il cucciolo e ribattezzarlo Ottimo Massimo. In questi tempi, la stima che la gente provava per questo nuovo eroe cresceva sempre di più, anche perché Cosimo cercava di rendersi utile ai contadini, magari con mansioni di ‘coordinatore dall’alto’, oppure barattava la sua cacciagione con frutta e verdura, giusto per ampliare la sua dieta. Nonostante se ne stesse sempre sugli alberi, egli non mancava mai di partecipare alle vicende familiari; appollaiandosi su qualche ramo che sporgeva verso la casa poteva assistere ai ricevimenti, oppure, sedendosi sul grande olmo vicino alla chiesa poteva addirittura ascoltare la messa. Un altro episodio interessante della vita di Cosimo, riguarda anche il suo stranissimo incontro col brigante Gian dei Brughi che, all’epoca, si diceva fosse il ladro più testo e spietato di tutta la contea. Il neo-barone di Rondò (suo padre aveva infatti deciso di cedergli comunque il titolo nobiliare, nonostante le sue assurde abitudini) desiderava tanto conoscere questo personaggio, finché un giorno gli capitò di avere la possibilità di aiutarlo a scappare da un inseguitnento della polizia locale. Così iniziò la sua amicizia con Gian dei Brughi, che si scopri poi essere un brigante ormai tramontato, che voleva solamente trascorrere la sua vecchiaia in pace. Fatto sta che Cosimo gli insegnò a leggere e ad apprezzare alcuni classici della letteratura, al punto che il criminale trascorreva le giornate chiuso nel suo nascondiglio a scorrere pagine e a fantasticare. Un giorno, però, alcuni suoi vecchi colleghi di furto convinsero Gian dei Brughi a compiere l’ultimo colpo della sua carriera, che gli fu fatale per essere arrestato. Condannato all’impiccagione, durante i giorni trascorsi in galera, l’ex-brigante pregava l’amico di portargli ugualmente dei libri da leggere con cui ingannare il tempo, e quando fu il momento dell’esecuzione, Cosimo ne fu così addolorato che vegliò sul cadavere per tutta la notte. Un’altra avventura interessante de “Il barone rampante” fa sicuramente riferimento allo zio di Cosimo, il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, che tra l’altro era fratello illegittimo del padre e sul cui passato non si sapeva granché. Una notte, Cosimo lo vide uscire dall’abitazione e, incuriosito, lo seguì fino al porto. Qui, dopo una serie di segnali con le lanterne, sbarcò da una nave ancorata al molo una frotta di pirati arabi, con i quali sicuramente il cavalier avvocato aveva fatto un patto per fare in modo che questi potessero nascondere il bottino. Cosimo decise di andare a chiamare i suoi amici carbonai che vivevano sulle colline, non solo perché potevano aiutarlo a scacciare i Mori, ma anche perché, essendo i più bisognosi e indigenti di tutta Ombrosa, avrebbero potuto trarre profitto dal ricco bottino di quei predoni. Sventato l’attacco dei pirati, Cosimo prese ad inseguirli per mare abbarbicato sull’albero maestro di una barchetta. Intanto, suo zio cercava a tutti i costi di raggiungere la nave araba, ma il capitano, considerandolo evidentemente responsabile dell’imboscata, lo decapitò con un colpo di sciabola. Una volta tornato a terra, Cosimo passava le sue giornate sui rami più bassi di un albero in piazza, raccontando alla gente le avventure di quella notte, e per non tradire il segreto dello zio naturale, imbastì una storia talmente bella e appassionante (nella quale Enea Silvio Carrega appariva addirittura come un eroe) che tutti ci credettero nonostante i particolari discordanti. Dopo questo episodio, Cosimo si dedicò ancora anima e corpo all’esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, finché un giorno giunse nei pressi di Olivabassa, dove si diceva che un’intera colonia di Spagnoli vivesse sugli alberi. Costoro erano dei nobilotti spagnoli ribellatisi al re Carlos III per motivi di privilegi feudali, che furono esiliati; per protesta essi non andarono via da Olivabassa, ma si stabilirono semplicemente sugli alberi, fino ad aspettare il momento in cui il sovrano li avrebbe richiamati giù. Qui Cosimo conobbe alcuni personaggi importanti, come Don Sulpicio o Don Frederico, con la cui figlia, Ursula, sperimentò le prime gioie amorose. Accadde però che arrivò il tanto anelato decreto reale con il quale queste famiglie potevano ritornare ai propri possedimenti: nonostante Ursula avesse chiesto a Cosimo di sposarla, questi rifiutò perché altrimenti sarebbe stato costretto a mancare alla promessa fatta ormai tanti anni prima di non scendere mai dagli alberi. Da questo momento, il nuovo barone di Rondò poteva vantare di avere come amanti tutte le più belle donne di Ombrosa che, attratte dal fascino di stare sugli alberi, cedevano immediatamente alle profferte amorose di Cosimo. Alcuni anni più tardi, mori il padre di Cosimo e Biagio, seguito a breve distanza dalla moglie, soprannominata la Generalessa. Così Cosimo divenne ufficialmente barone di Rondò, e grazie all’aiuto del fratello nella gestione economica e familiare, nessun abitante di Ombrosa si lamentò mai del suo operato. La sua felicità fu ancora più completa quando scoprì che anche Viola era tornata nella casa paterna, dal momento che l’uomo che aveva sposato da poco, un nobile ottantenne, era morto. Viola fu anch’ella contentissima di rivedere l’amore della sua infanzia, e si mostrò disponibilissima a salire con lui sugli alberi per occupare i numerosi giacigli che Cosimo aveva costruito per le sue precedenti amanti. Tuttavia, la devozione che egli provava per Viola non era del tutto ricambiata, poiché lei ad ogni occasione si ingraziava sempre nuovi spasimanti, e faceva la civetta con chiunque la degnasse di qualche attenzione. Stanca delle scenate di gelosia di Cosimo, la marchesa Viola decise di ripartire, lasciando nella più completa disperazione e in uno stato di pazzia acuta lo sventurato barone. Un altro evento importante al quale Cosimo partecipò fu la guerra in corso fra gli Austro-sardi e i Francesi in seguito alla Rivoluzione, infatti, ad Ombrosa erano penetrate sia le truppe francesi per proclamare l’annessione alla ‘Grande Nazione Universale’ tanto sostenuta dai Giacobini, sia le truppe austriache, convocate per assicurare la neutralità della Repubblica di Genova. Cosimo, dall’alto dei suoi alberi, poteva scrutare tutti questi movimenti, e come raccontò agli Ombrosoli, in più occasioni boicottò i battaglioni austriaci per aiutare invece nei modi più inconsueti quelli francesi. Alla fine, furono le Armate Repubblicane ad avere la meglio sugli Austriaci, in occasione degli scontri di Dego e di Millesimo, e ad Ombrosa fu finalmente sancita la totale appartenenza alla Francia. Cosimo fu trattato come un vero eroe, al punto che lo stesso Napoleone decise di degnano di una propria visita. Tuttavia, egli non era più quello d’un tempo, e cominciava a diventare vecchio; passava le sue giornate su un albero della piazza, mendicando qua e là qualcosa di caldo da mandare giù. Il fratello fece in modo che negli ultimi giorni della sua vita, Cosimo potesse avere tutte le comodità possibili, e quando arrivò il momento fatale, mandò a chiamare un prete per la benedizione. Ma Cosimo, come preso da una smania inspiegabile, saltò sui rami più alti dell’albero. Proprio in quel momento, passò nel cielo una mongolfiera che aveva problemi neI prendere quota; Cosimo si aggrappò alla fune dell’ancora, e si buttò in mare non appena il velivolo sorvolò il golfo di Genova. Così mantenne la sua promessa di non scendere mai dagli alberi.







• Spazio e tempo



Le vicende narrate ne “Il barone rampante”, si svolgono in un paese immaginario, Ombrosa, che è situato in un punto imprecisato della Riviera ligure. L’autore si preoccupa di fornirci anche delle dettagliate descrizioni paesaggistiche, che derivano forse dalla sua profonda conoscenza di queste zone dove aveva trascorso l’infanzia. il territorio di Ombrosa, oltre ad essere vicino al mare, era composto anche da ampli spazi adibiti all’agricoltura, che si alternavano a immense distese di boschi o alberi da frutto sui quali Cosimo si arrampicava e passava l’intera giornata. Calvino ci lascia immaginare che il territorio fosse gestito da alcune famiglie più o meno nobili che fungevano da piccoli proprietari terrieri costretti a pagare alla Repubblica di Genova (o Ligure, come fu chiamata in seguito all’annessione francese) tasse e decime. Infatti, l’arco temporale in cui si svolgono le vicende narrate parte dal 1767, come dichiara esplicitamente l’autore all’inizio del libro; si tratta di un’epoca molto movimentata della storia, in quanto, solo pochi anni più tardi, hanno luogo la Rivoluzione francese e la guerra condotta da Napoleone contro gli Austriaci. È proprio per questo motivo che anche la cittadina di Ombrosa si trova divisa in due fazioni politiche: da un lato vi sono i Rivoluzionari e i giacobini, tra cui lo stesso Cosimo, che sostengono l’Armata Francese e l’annessione del Genovese alla Francia; dall’altro vi sono invece i più conservatori, che chiedono di preservare la Repubblica neutrale. Altri elementi che permettono comunque di identificare l’epoca in cui si svolgono i fatti, indipendentemente dalle vicende politiche, sono le diverse citazioni di autori famosissimi che Cosimo legge. Si parla infatti dell’Enciclopedia Universale, alla cui stesura collaborarono Voltaire, Diderot, Rosseau e D’Alambert, e di altri celebri scritti dai temi innovatori che proclamavano i principi della Rivoluzione, ovvero libertà, fratellanza e uguaglianza.







• Personaggi



Il personaggio principale de “Il barone rampante” è senza ombra di dubbio Cosimo. L’autore celebra di lui il coraggio e anche la forza di volontà che l’hanno spinto a disobbedire volutamente e a lasciare la famiglia, iniziando una nuova vita di sfide contro gli altri e soprattutto contro sé stesso lassù sugli alberi. L’episodio che è stata ‘la goccia che ha fatto traboccare il vaso’ si riferisce ad un pranzo familiare, in cui Cosimo rifiutò di mangiare le lumache, una delle tante stranezze culinarie preparate dalla sorella Battista. Questo rifiuto segnò il cambiamento totale della sua esistenza; un’esistenza adesso condotta sugli alberi, ma non per questo monotona o stancante, anzi, si potrebbe definire addirittura avventurosa. Tuttavia, pur vivendo in un’altra dimensione, Cosimo non dimentica i propri obblighi familiari, partecipando dalla cima di qualche albero a feste e ricevimenti, e assistendo i propri genitori quando erano ormai in fin di vita. Lo stare sugli alberi rappresenta comunque per lui un pretesto per mantenere tra se e i suoi simili una ‘minima ma invalicabile distanza’, come sostiene l’autore stesso. Infatti, questa immagine di un uomo che si arrampica sulle piante per sfuggire alla solita routine e alla solita gente (pur essendo portata alle estreme conseguenze e presentata da Calvino come un paradosso), rappresenta in un certo senso l’immagine dell’uomo attuale, che, oppresso molto spesso dal lavoro, dalle persone, o semplicemente dalla noiosa quotidianità, decide di trovare una via di scampo e di evadere. Ciò che apprezzo maggiormente in Cosimo è comunque l’ostinazione, qualità (o difetto?) che l’ha fatto perseverare nel suo obiettivo iniziale dì non discendere mai dagli alberi. Infatti, persino in punto di morte, egli ha avuto la forza d’animo di non lasciarsi trasportare giù a terra, e ha preferito agganciarsi alla corda di una mongolfiera di passaggio e di buttarsi in mare, piuttosto che essere sepolto. Un altro personaggio fondamentale del racconto è Biagio, fratello minore di Cosimo, che deve la propria importanza per il fatto di essere l’io narrante delle vicende. All’età della ribellione del fratello, questi aveva appena otto anni, e di conseguenza, nonostante avesse promesso a Cosimo di dargli manforte in qualunque situazione, non aveva avuto il coraggio di abbandonare le comodità familiari. Accusato di codardia, decise di fare il possibile per rendere al fratello più agevole la vita sugli alberi, procurandogli del cibo, delle coperte, degli abiti e persino dei fucili per cacciare. Nonostante avesse cercato più volte di convincerlo a scendere, Cosimo non aveva mai desistito dal suo proposito iniziale, e solo alcuni anni più tardi, Biagio capì che l’ostinazione del fratello celava qualcosa di molto più profondo di un atto di disobbedienza. Inizialmente, quindi, le avventure de “Il barone rampante”, sono leggermente filtrate attraverso l’ottica di un bambino, ovvero Biagio, il quale ci racconta molti episodi riportando le parole, spesso incredibili, di Cosimo. Anche la figura di Biagio, però, a mio parere viene messa in luce dall’autore non solo per evidenziare il contrasto e la diversità di carattere fra lui e Cosimo, ma anche per farci conoscere un ulteriore tipo d’uomo, ovvero quello che nella vita non ha mai voluto schierarsi (per paura o per convenienza) né da una parte né dall’altra, seguendo il corso degli eventi così come procede. In effetti, oltre all’episodio in cui Biagio rifiuta di seguire Cosimo sugli alberi, vi sono altre situazioni in cui questi preferisce rimanere nell’ombra piuttosto che emergere (e quindi rischiare) come il fratello. Ad esempio, durante la guerra fra Francia e Austria, a Ombrosa si erano organizzate alcune riunioni segrete della Massoneria: Cosimo prese parte a tutte per sostenere il proprio ideale, Biagio invece cercò di rimanere sempre abbastanza nascosto, non schierandosi né dalla parte dei conservatori né da quella dei rivoluzionari, proprio per non correre pericoli e rischiare di perdere i beni e la faccia. Quindi, forse da un certo punto di vista si può ritenere più apprezzabile il comportamento di Cosimo, anche se, lo ammetto, io preferirei una via di mezzo. Un altro componente della famiglia dei Rondò è la sorella di Cosimo e Biagio, la primogenita Battista. Dopo una scandalosa fuga d’amore con il marchese Della Mela, i genitori decisero di spedirla in convento, e nonostante non avesse preso i voti per la sua dubbia vocazione, Battista tornò a casa. Così ella cercò di scaricare la propria tensione e la propria malinconia dedicandosi all’arte culinaria in un modo tutto suo: pare infatti che squartasse gli animali, o comunque preparasse dei piatti assai macabri. In cantina, teneva un barilotto pieno di lumache, che cucinava in tutte le salse, e una volta che Cosimo e Biagio le liberarono per pietà, accadde il finimondo: furono puniti e stettero per più di una settimana in castigo. A dire la verità, il comportamento di Battista non si può neppure biasimare: anche la sua si può in un certo senso definire una forma di ‘evasione’ dagli obblighi impostategli dai genitori. Comunque, per lei le cose vanno a finire bene, poiché durante un ricevimento a casa, conobbe un nobilotto locale, e i genitori acconsentirono piuttosto di buon grado prima al fidanzamento e poi al matrimonio. Un altra figura importante del romanzo è certamente il barone Arminio Piovasco di Rondò, ovvero il padre di Cosimo, Battista e Biagio. Nel libro viene certamente sottolineata la sua preoccupazione quasi morbosa per la gestione di Ombrosa: infatti, come racconta Biagio: “Il barone nostro padre era un uomo noioso, questo è certo, anche se non cattivo: noioso perché la sua vita era dominata da pensieri stonati, come spesso succede nelle epoche di trapasso. L’agitazione dei tempi a molti comunica un bisogno d’agitarsi anche loro, ma tutto all’incontrano, fuori strada: così nostro padre, con quello che bolliva allora in pentola, vantava pretese al titolo di duca d’Ombrosa, e non pensava ad altro che a genealogie e successioni e rivalità e alleanze con i potentati vicini e lontani”. Forse, queste sue preoccupazioni eccessive per la politica, ebbero delle conseguenze negative sui figli soprattutto su Cosimo, la cui disobbedienza si potrebbe interpretare anche come una carenza d’affetto da parte del padre. Da questo punto di vista, però, non è da meno neppure la madre, Konradine von Kurtewutz, soprannominata la Generalessa per via del suo carattere estremamente autoritario. Konradine era figlia di un generale tedesco, e dopo la morte della madre, fu costretta a seguire il padre da un accampamento all’altro, acquisendo quella sicurezza di sé e quel modo di comandare che si possono coltivare solamente in un ambiente militare. Anche dopo il matrimonio, forse per protesta nei confronti del marito, le era comunque rimasta la paterna passione militare, al punto che si racconta realizzasse degli splendidi ricami al tombolo che rappresentavano mappe di zone in cui si era svolta una qualche guerra, e che venivano poi addirittura ornati con delle bandierine che segnalavano i vari appostamenti e la posizione delle truppe nemiche. Lo stesso rigore che la Generalessa aveva nell’ esercito, lo portò quindi anche nella famiglia, scaricandolo in modo particolare sui figli, cui dedicava sicuramente poche attenzioni. Forse l’esempio di Calvino viene portato un po’ all’eccesso, ma è anche vero che molto spesso, le persone che tendono ad essere un po’ troppo rigide e abitudinarie e che vogliono rientrare a tutti i costi entro determinati schemi, sono anche le più cieche, quelle che non vedono più in là del proprio naso. Per Konradine il meccanismo è stato lo stesso: dopo la decisione di Cosimo di rimanere sugli alberi, ella non si preoccupò più di tanto; anzi era addirittura contenta perché così poteva seguire tutto il giorno gli spostamenti del figlio col binocolo, segnalandoli poi su una cartina, e risvegliando in sé la passione militare che si era un po’ affievolita con la morte del padre. Un altro personaggio che appartiene alla famiglia dei Rondò. è il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, fratello naturale del barone. Del suo passato si sa poco o niente: pare che fosse stato addirittura in Turchia, come testimonia la sua conoscenza della lingua e il suo sfoggio di abiti tipicamente orientali. Ci viene immediatamente presentato come un tipo piuttosto riservato, e poiché era stato salvato dal fratello illegittimo da una sicura condanna a morte, cercava di dimostrarsi a tutti i costi docile e servizievole nei suoi confronti, occupandosi dei problemi di irrigazione e di idraulica dei territori di Ombrosa. In realtà, questo personaggio nasconde una doppia vita, che viene scoperta da Cosimo una notte in cui il cavalier avvocato doveva sigillare la propria alleanza coi pirati musulmani permettendo loro di nascondere la refurtiva nei pressi del porto di Ombrosa. Anche questo personaggio non ha però una fine felice: accusato di tradimento dal capitano della nave araba, viene decapitato e gettato in mare. L’ultimo personaggio che fa parte della famiglia di Cosimo è l’abbate Fauchelafleur, un vecchietto secco e grinzoso di cui la gente lodava il carattere rigoroso e la severità interiore. Così era stato ingaggiato come precettore di Cosimo e Biagio, anche se, in realtà, era una persona totalmente diversa da quello che si credeva: si perdeva in lunghe meditazioni con gli occhi fissi nel vuoto, quasi stesse ripensando alla fonte della sua vocazione, ed era così disinteressato a ciò che accadeva ai ragazzi, che questi se la svignavano senza che lui nemmeno se ne accorgesse. La cosa assurda è che, quando Cosimo sugli alberi decise di dedicarsi alla letteratura, pregò il povero vecchio di salire con lui per essere illuminato su alcuni autori di cui, a dire la verità, conosceva più lui che non quello che sarebbe dovuto essere il suo maestro. Prendendo in considerazione i personaggi, non si può tralasciare neppure il grande amore di Cosimo: Viola. Il suo incontro con lei risaliva a molti anni prima, quando, esplorando i dintorni ‘arborei’ della propria villa, Cosimo notò una bambina che si dondolava sull’altalena: “Era una bambina bionda, con un’alta pettinatura un po’ buffa per una bimba, un vestito azzurro anche quello troppo da grande, la gonna che ora, sollevata sull’altalena, traboccava di trine. La bambina guardava a occhi socchiusi e naso in su, come per un suo vezzo di far la dama, e mangiava una mela a morsi, piegando il capo ogni volta verso la mano che doveva insieme reggere la mela e reggersi alla fune dell’altalena, e si dava spinte colpendo con la punta degli scarpini il terreno (...)“. Già da queste poche righe, si profila il carattere di Viola che, nobile di nascita, o stenta forse un’eleganza e una pomposità un po’ eccessive. Dal momento che i suoi genitori erano molto impegnati e non potevano badare a lei, Viola era per così dire uno ‘spirito libero’: poteva uscire dalla sua proprietà quando voleva, e poteva persino frequentare la gente che voleva, come i ragazzini della famosa banda dei ladri di frutta, che la consideravano alla stregua di una principessa da proteggere e di cui contendersi le attenzioni. A dire il vero, Viola era ben contenta di stare a questo gioco, e spesso si comportava da vera e propria tiranna miei confronti dei suoi amici. Lo stesso trattamento era stato riservato anche allo sventurato Cosimo, che alla prima occasione veniva preso in giro e ferito nel suo orgoglio per l’abbigliamento inadeguato o per la sua strana abitudine di spostarsi sugli alberi. Tuttavia Cosimo rimase addirittura colpito da questo atteggiamento di sfida della ragazzina, e forse fu già dal primo giorno che la incontrò che se ne innamorò. Una volta cresciuto, il destino volle che la stessa Viola ritornasse ad Ombrosa come vedova di un ricco ottantenne, e si prestasse molto volentieri alle attenzioni dedicatele da Cosimo. Ma fu proprio l’atteggiamento volubile di Viola (che la spingeva a cercare sempre nuovi amanti fra i numerosi pretendenti), che condusse il povero barone di Rondò alla pazzia, pazzia che trovò un sfogo solamente in occasione della guerra contro gli Austriaci. Un altro personaggio, che forse ricopre un ruolo solamente secondario, è il brigante Gian dei Brughi, famoso bandito che, si diceva, depredava le campagne circostanti ad Ombrosa. Come già raccontato, Cosimo lo conobbe in un’occasione molto strana, ma capi fin dall’inizio che era inoffensivo. Decise così di iniziarlo alla lettura di alcuni libri e testi all’epoca molto famosi, e Gian dei Brughi, completamente preso da questa nuova occupazione, finì per abbandonare il furto per dedicarsi anima e corpo a sfogliare pagina su pagina. Cosimo si prodigava per procurargli sempre nuove letture, e rimase sconcertato quando, su ricatto, l’ex-brigante fu costretto a compiere un ultimo colpo e fu colto in flagrante. Nonostante fosse imprigionato in attesa dell’impiccagione, Gian dei Brughi continuò a leggere di nascosto fino alla fine, e secondo me, anche se la sua presenza nel romanzo non è fondamentale, rappresenta comunque la testimonianza che Cosimo, nella sua carriera di barone, in fin dei conti combinò qualcosa di buono, anzi, forse più di ciò che avrebbe potuto fare se fosse vissuto normalmente sulla terra.







• Temi e commento



A mio parere, i temi che si intrecciano ne “Il barone rampante”, sono molteplici e possono essere interpretati personalmente in vari modi. Forse il filone attorno al quale gravitano tutti gli eventi di Cosimo è quello della fuga; fuga che qui viene concretizzata come una reale sparizione dalla vita quotidiana per rifugiarsi sugli alberi, ma che allude teoricamente alla fuga o al desiderio di evasione che ciascuna persona porta insita nel proprio carattere. Cosimo è stanco di essere rimproverato dai genitori e di dover subire le angherie della sorella, e così fugge, promettendo di non tornare più; allo stesso modo l’uomo, pressato dalla routine quotidiana, dal lavoro o semplicemente dalla noia, spesso decide di fuggire per ritirarsi in un mondo tutto suo. Un commento dell’autore della presentazione del libro dice che “La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più ardua e rigorosa di quella a cui ci si ribella.”. Secondo me, questo è vero, perché Cosimo ha anche il coraggio e la perseveranza di rimanere coerente con gli impegni presi, e alla fine, quello che inizia come un semplice atteggiamento di sfida nei confronti dei genitori, diventa una vera e propria dottrina di vita, con delle scadenze che forse sono ancora più difficili da mantenere rispetto a quelle date dai genitori. Ancora, il comportamento di Cosimo, oltre che come un atto di esplicita disobbedienza, potrebbe anche essere considerato come un vero e proprio atto di pazzia, come dichiarano tutti gli stessi compaesani di Ombrosa. Quindi, da questo punto dì vista, Cosimo potrebbe addirittura incarnare la figura dell’ ‘alienato mentale’ che viene decantato, ad esempio, in molte delle novelle di Pirandello. Tuttavia, se si considerano le motivazioni per cui Cosimo ha raggiunto la follia, il suo atteggiamento di fronte alla vita diventa immediatamente comprensibile e tollerabile agli occhi degli altri, e addirittura in molti personaggi del romanzo si possono cogliere delle note di pietà e compassione per il protagonista. In fin dei conti, questa stessa tematica si ripercuote anche sugli altri personaggi de “Il barone rampante”, anche se magari con minore incisività rispetto a Cosimo. Ad esempio, non si può dire che i genitori di Cosimo abbiano anche loro ‘tutte le rotelle a posto’: basti pensare, ad esempio, al loro comportamento di fronte alla decisione del figlio di vivere sugli alberi e alla facilità con cui hanno accettato questa situazione. Anche la stessa Battista, sorella di Cosimo, potrebbe essere considerata ‘un’alienata’, vedendo le sue strane abitudini culinarie e il suo istinto di impallinare qualcuno ogni qual volta si contestasse una sua pietanza. D’altro canto, però, bisogna osservare anche il motivo di questa sua follia, che deriva certamente dall’imposizione da parte dei genitori, di farsi monaca per riparare alla sua ingiustificata fuga d’amore col marchese. Quindi, a mio parere, all’interno di questo libro non bisogna concentrare l’attenzione solo sul personaggio di Cosimo, perché si intrecciano molteplici altre vicende interessanti che rispecchiano, nel loro piccolo, le stesse motivazioni e lo stesso desiderio di fuga dalla realtà che ha il protagonista. Io però preferisco credere che l’atteggiamento di Cosimo non sia quello di un pazzo, ma semplicemente quello di una persona particolarmente furba e ponderata, che constatando che nel mondo non c’è posto per lei, decide di farsi notare in un altro modo, appunto conducendo una vita diversa e cercando di mantenere fra sé e i propri simili una minima ma invalicabile distanza che le permetta di avere sempre il controllo della situazione.



IL BUIO OLTRE LA SIEPE

La trama si svolge nella città di Maycomb, nella contea di Abbott, nel sud dell'Alabama, al confine con lo Stato del Mississippi. L'anno è il 1932.



I protagonisti del romanzo sono Jem e Scout (quest'ultima è anche la narratrice della storia). Essi sono i due figli dell'avvocato Atticus Finch. I due ragazzi, un'estate, conoscono un altro bambino, Dill, con il quale stringono amicizia. L'interesse dei tre è attirato dalla figura di Arthur Radley detto "Boo", il misterioso vicino di casa generalmente considerato un uomo violento e per questo chiuso in casa dai genitori. Ma nel tempo si accorgono che Boo, senza farsi vedere, rivolge premurose attenzioni a loro.



Bisticciando con altri ragazzi, Scout è offesa quando questi chiamano suo padre "negrofilo". Alle sue domande, Atticus spiega: è stato nominato d'ufficio per difendere in un processo un uomo di colore, Tom Robinson, anche se sa che la si può considerare una causa persa. Solo quando vanno con la domestica Calpurnia nella chiesa della comunità nera della città, Jem e Scout scoprono la natura delle accuse rivolte a Tom: è stato accusato dagli Ewell per violenza carnale. Manca poco tempo al processo ed Atticus comincia ad essere perseguitato dai razzisti, i quali già sanno che perderà.



Il giorno del processo, i tre ragazzi si recano in tribunale e trovano posto nella balconata riservata alle persone di colore. Il primo a testimoniare è lo sceriffo Heck Tate, che racconta di essere stato informato da Robert Ewell (detto "Bob") della violenza di sua figlia Mayella e che lei stessa ha fatto il nome di Tom Robinson. Mayella è la seconda a testimoniare e dice di aver lasciato entrare Tom perché le sfasciasse un mobile e di essere stata assalita da lui mentre gli voltava le spalle. Il terzo è l'imputato, Tom. Afferma di essere stato chiamato in casa da Mayella. Lì - continua - Mayella avrebbe tentato di baciarlo e lui, impaurito, sarebbe fuggito. In un discorso, Atticus fa notare che Tom non è il colpevole perché i segni di violenza erano sulla parte destra del corpo (dal punto di vista della donna), mentre Tom è paralizzato al braccio sinistro, mentre Bob Ewell è mancino. Dopo ore di attesa, la giuria esprime il verdetto di colpevolezza perché Tom aveva detto di provare pena per la ragazza.



Si intensificano le persecuzioni subite da Atticus e con esse le paure dei due ragazzi, ma il padre li rassicura. Un giorno Atticus comunica la notizia della morte di Tom, ucciso da colpi di proiettile mentre cercava di fuggire durante l'ora di passeggio. Passa il tempo e l'interesse per i fatti comincia a calare. Continuano le azioni provocatorie da parte di Bob Ewell nei confronti di chi gli ha messo i bastoni fra le ruote.



La sera di Halloween viene organizzato uno spettacolo nella scuola di Maycomb. Scout e Jem stanno andando verso casa, dopo la rappresentazione, quando vengono assaliti da un adulto. Nella confusione, Scout si libera e vede un uomo che porta Jem a casa. Quella persona è Arthur Radley. Nel luogo della colluttazione, inoltre, viene ritrovato il corpo di Bob Ewell pugnalato al petto. Atticus teme che Jem venga implicato nel processo, ma lo sceriffo decide di insabbiare il caso: Bob si è suicidato per errore. Scout accompagna Arthur a casa e lo saluta per l'ultima volta. Torna poi da Atticus che la porta a letto.



2° RIASSUNTO



A Maycomb, Jem e Scout (figli di Atticus Finch) un'estate conoscono un altro bambino, Dill, e ci fanno amicizia. I tre sono attirati da Arthur Radley detto Boo, considerato un uomo pericoloso e violento, rinchiuso nella casa accanto alla loro. Ma, col passare del tempo, si accorgono che Boo, senza farsi vedere, si preoccupa dei tre. Atticus spiega che è stato nominato d'ufficio per difendere un uomo nero, Tom Robinson, anche se sepeva che avrebbe perso. Solo quando vanno con Calpurnia in chiesa, Jem e Scout scoprono perché Tom è un imputato: è stato accusato dagli Ewell per violenza carnale. Poco prima del processo Atticus comincia ad essere perseguitato dai razzisti, perché sanno che perderà, poiché pensano che abbia torto. Il giorno del processo, i tre ragazzi vanno in tribunale. Il primo a testimoniare è lo sceriffo Heck Tate, che dice di essere stato informato da Robert Ewell (detto Bob) della violenza di sua figlia Mayella e che lei ha fatto il nome di Tom Robinson. Mayella è la seconda testimoniante e dice di aver lasciato entrare Tom perché doveva fare un lavoro. Il terzo che confessa è Tom. Non smentisce di essere stato chiamato in casa da Mayella. Lì Mayella ha tentato di baciarlo e lui, impaurito, è fuggito. Atticus fa notare che Tom non è il colpevole perché i segni di violenza erano sulla parte destra del corpo, mentre Tom è paralizzato al braccio sinistro. Dopo qualche ora, la giuria decide chi è il colpevole. Un giorno Atticus comunica che Tom era stato ucciso da colpi di pistola. Bob Ewell continua a provocare quello che considera suoi nemici. Durante una festa di Halloween Scout e Jem stanno andando verso casa, dopo la recita, quando vengono assaliti da un adulto. Nella confusione, Scout si libera e vede un uomo che porta Jem a casa. Quell'uomo è Arthur Radley. Nel luogo della lotta, viene ritrovato il corpo di Bob Ewell pugnalato al petto. Lo sceriffo, dopo aver parlato con Atticus, e dopo aver deciso insieme a lui, disse che Bob è caduto sul suo coltello mentre assaliva i bambini, invece era stato Boo, per difenderli. Scout accompagna Arthur a casa e lo saluta per l'ultima volta. Poi torna da Atticus che la porta a letto.



STAGIONI

Si parte dall'inverno che, come lui stesso ha dichiarato, è la sua stagione preferita: "sono nato alle soglie dell'inverno, in montagna - esordisce - e la neve ha accompagnato la mia vita".

Ci fa riflettere sulla relatività delle cose: il freddo, il gelo... quella che oggi ci sembra una temperatura insopportabile in casa o fuori era fino a pochi anni fa normale ed era sufficienteindossare le mutande di lana e bere un tè caldo per superare la rigidità del clima. Per non parlare di chi ancora adesso vive in quelle zone della Siberia dove non arrivano i rifornimenti...



La guerra, lo spaventoso gennaio del 1942 con -39°, le sofferenze dei militari e dei civili. E, ancora, gli animali che in inverno animano il bosco anche quando la neve ricopre tutto. Il maestoso grifone, il gufo delle nevi, arrivato da molto lontano, le lepri, il capriolo, le volpi, il francolino di monte... quanti di noi non sanno neppure che aspetto abbiano?



"Sensi e fantasia ti aiutano a scoprire la primavera del bosco, che è misteriosa, segreta, viva".

Eccoci dunque alla primavera, ai canti degli uccelli, al ronzio delle api, alle nuove corna dei cervi, alla livrea più bella dell'urogallo, alla gioia inspiegabile che accompagna i più giovani quando le giornate cominciano ad allungarsi e la temperatura ad alzarsi.

"Se la prima neve che senti scendere in una notte di novembre è un invito a raccogliersi nei ricordi o nella lettura, la prima pioggia d'aprile che ascolti battere sul tetto ti dà ristoro e distensione, ritrovi un amabile sonno e poi, al mattino, il desiderio di andare, di uscire fuori a camminare in libertà e senza una meta perché la primavera non ha confini. Magari vorresti rincorrerla verso il Nord con quella coppia di cicogne che avevano sostato qualche giorno sugli stagni dei pascoli e sono volate via salutando noi che restiamo".

Chi saprebbe descriverla meglio?



E siamo arrivati all'estate.

Il fieno sui carri, le mucche agli alpeggi, le stelle alpine, i giovani camosci, i mirtilli, un formaggio meraviglioso e il pericoloso e impegnativo gioco della ricerca dei nidi dei calabroni, trafugati e spostati vicino a casa per raccogliere il loro miele. Quante madri oggi autorizzerebbero i figli a realizzare una simile impresa?

In questa estate ci imbattiamo anche, a sorpresa, nei ricordi del mare, tra scogli, spiagge e pescherecci, del Basento, di un'isola dalmata, di Rovigno e di un viaggio, molto gradito, nel Salento. "Le torri di guardia lungo quel mare profondamente azzurro mi facevano sognare che in qualcuna sarebbe stato bellissimo passare un'estate. Ma anche tutta la vita, che non sarebbe stata dura con quel mare davanti, con quel retroterra di frumenti e ulivi. Lì, con un centinaio di libri, un bell'orto, un piccolo frutteto con aranci e mandarini. Senza telefono, senza televisione. Come sarebbe stato l'inverno? Mi sarebbe mancata la neve?"



Chiudiamo con l'autunno, la stagione della discesa dagli alpeggi, delle lucide foglie degli aceri montani, delle prime brine in alta quota, del fervore preparatorio delle marmotte avviate verso il letargo invernale, dei bramiti d'amore dei cervi, dell'avvicinamento a valle dei camosci, delle storie di caccia, che per la verità Rigoni Stern, che non appare affatto contrario, racconta con passione.

"Tante cose nel corso delle stagioni la natura può insegnare a chi osserva; ma è nell'autunno che il bosco si fa leggere con chiarezza: lo sviluppo delle crescite annuali degli alberi, la maturazione dei frutti e delle drupe nel sottobosco e, magari, le brutte tracce del passaggio degli uomini incivili. Dall'abbondanza delle squame e dei torsi degli strobili sotto le conifere possiamo intuire le famiglie desgli scoiattoli acrobati sopra le nostre teste, da una rosso-bianca amanita muscaria sbocconcellata puoi supporre che un capriolo o un cervo l'abbiano ricercata per drogarsi. Forse potrai sorprenderti nel vedere un cerchio, o due cerchi a forma di 8 attorno a un giovane abete o a un faggio: è come un sentiero battuto e tutt'attorno l'erba è calpestata e anche strappata; qui tra luglio e agosto, i caprioli avevano fatto la giostra, ossia quando erano pronti per l'accoppiamento maschio e femmina si erano insistentemente rincorsi emettendo dei fischi come sospiri amorosi."


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
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